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Stephen Donoghue

Durante l'epoca vittoriana dominata nell'ultima parte da Fred Archer, il più grande fantino delle staffe lunghe nasce, esattamente nel 1884, Stephen "Steve" Donoghue, uno dei massimi fantini di ogni tempo e probabilmente il più amato dal pubblico britannico.

Nelle prime due decadi del '900 l'urlo inconfondibile della folla d'oltremanica scandiva la sua immensa popolarità al grido di "Come on Steve" che ormai era diventato di uso comune.

Donoghue formatosi da allievo dal sommo maestro John Porter vinse, tra gli altri, dieci scudetti consecutivi e sei derby di Epsom. Se questi due traguardi furono poi superati negli anni seguenti, nessuno gli tolse e sarà dura che accada anche in futuro il primato di essere l'unico fantino ad avere vinto due triple crown inglesi, nel 1915 con Pommern e due anni più tardi in sella a Gay Crusader. Rimane unico anche per quel suo fair play che lo distingueva grazie al quale non subì mai una chiamata dai commissari, mai una volta in tutta la carriera, unito al coraggio e alle sue mani magiche.

La carriera di Steve oltre alle vittorie e alla gloria incrociò i destini di due campioni che per tempi storici e distanze sembrano agli antipodi, ma legati ad un filo comune grazie alle sue mani: The Tetrarch e Brown Jack. Forse a molti questi due nomi diranno poco, ma le loro storie sono talmente cariche di emozioni da non poter privarne il racconto.

The Tetrarch considerato il più grande due anni di ogni tempo vide la pista solo una stagione, il 1913, alla fine della quale riportò un infortunio che gli impedì di proseguire la carriera. Riportò sette corse su sette con uno stile che fece esclamare ai più che non sarebbe stato mai battuto su qualunque distanza. La controprova non ci fu ma le parole di Donoghue rendono l'idea della forza ed esplosività concentrata in “the spotted wonder”come era soprannominato: "in lui erano combinate la forza di un elefante e la velocità di un levriero".

Brown Jack invece, la cui statua per mano di Alfred Munnings campeggia ad Ascot, incontrò Donoghue quando questi, quasi cinquantenne, era verso la fine della propria carriera.

Correva l'anno 1929. Una data storica che fa ritornare alla memoria la più grande catastrofe in tempo di pace: il crollo della borsa di Wall Street nell'ottobre di quell'anno.

Tornando alle vicende sportive i due furono partner nel giugno precedente nel meeting di Royal Ascot esattamente l'ultimo giorno e nell'ultima corsa in programma: le Queen Alexandra stakes, la prova in piano più lunga al mondo con i suoi 4400 metri spesso e volentieri terreno di caccia pure dei saltatori. E pure Brown Jack era un più che valido hunter avendo riportato nel 1928 il Champion Hurdle a Cheltenham. Quel giorno la vittoria non sfuggì e non fu un caso isolato. Di Queen Alexandra Brown Jack e Steve ne vinsero sei di fila stabilendo un record tutt'ora imbattuto ed entrando nei cuori della gente.

Steve Donoghue chiuse la carriera in pista nel 1937 mettendo in bacheca quell'anno l'unica grande prova che ancora gli mancava: le 1000 ghinee di Newmarket grazie a Exhibitionnist.

Divenne poi, fino alla morte avvenuta nel '45 per un attacco cardiaco, un allenatore e allevatore di minor impatto.

Sta di fatto che la gente lo amava e lui amava la gente, ma per i cavalli, che lo accompagnarono per tutta la vita, aveva parole forse ancor più grandi, cariche di rispetto e riconoscenza come era nel suo stile quando li definì...i miei amici...i miei più grandi amici.

Luca Zavatteri


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