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The Boxer

Pisa, 1992.

Tra la marea di folla che in quegli anni invadeva San Rossore, un bambino, con i soldi per il gelato, si faceva largo tra le lavagne dei bookmakers e i totalizzatori, per giocarli invece sulle corse. Millelire sul vincente.. E Millelire sul piazzato; sono millelire è vero.. ma è sempre meglio giocare anche “P”, giusto per difendersi, giusto per non porgere l'altra guancia. Quel bambino era li anche per fotografare, con la sua vecchia polaroid, i tanti campioni che ci venivano a trovare nelle grandi giornate di corse. Sgomitava e si divincolava tra i cappotti, per mettersi in prima fila, altrimenti tondino e corsa li vedevi dalla tribunetta scoperta di metà dirittura; tutto questo per aggiungere qualche cimelio alla sua collezione. La foto di Lester Piggott un anno prima, per la verità, gli venne male; si vedevano solo tanti cappelli e qualche cavallo in lontananza; se potesse tornare indietro, quel bambino, una foto la farebbe anche a Pal Kallai, jockey, fighter, latitante, uno che raccontava che avrebbe voluto vivere finchè poteva alzarsi e andare nel cortile di casa, poi, se dio avesse voluto, lo avrebbe fatto morire in pista.

Pal Kallai nasce a Budapest nei primi anni '30, inizia la carriera nell'ippodromo che porta il nome della cavalla più forte di sempre, il Kincsem Park. Tra il '52 e il '56 è champion jockey in Ungheria, ma l'arrivo dei russi con i carri armati, scesi per stroncare la rivoluzione, lo costrinsero a scappare in Austria, dove restò per 4 anni, poi dall'altra parte della luna, in America.

Emigrò prima in Canada a dire il vero, dove tra l'altro vinse le Breeder's stakes a Woodbine nel '65 in sella a Good old mort, poi negli States.

Pal era figlio di un pugile, lui stesso lo era, giovane e promettente. Aveva combattuto 103 volte sul ring vincendo 100 volte, sia in Ungheria, prima di stabilizzarsi nel Maryland, sia a Philadelphia, la patria di Rocky. (https://boxrec.com/en/proboxer/242149).

“I never give up" dichiarava nelle interviste "ho la mia palestra nel garage e mi alleno ogni giorno. Se mi scontro in sala fantini mi costa 200 dollari di multa, qui mi pagano”. A dire il vero non si tirava indietro nemmeno se gli scontri erano fuori dal ring, come quella volta che venne fermato da 5 stewards mente scavalcava la staccionata per menare uno scommettitore che dall'altro lato offendeva la famgilia di Pal, colpevole di aver perso una corsa.

Da jockey in America ha corso il Kentucky derby e le Preakness del '66 Negli anni '70 fu uno dei 5 fantini condannati con l'accusa di aver sistemato le corse, nello scandalo del Garden State Park. Negò sempre, soltanto qualche anno dopo dichiarò di non aver parlato per proteggere un amico; fu condannato ad un anno e mezzo di prigione, ma fuggi come aveva già fatto e come fece un anno dopo dal tavolo operatorio, dopo un violento incidente d'auto, quando capì per sbaglio che volevano amputargli entrambe le gambe.

Per un decennio Kallai visse un'esistenza da nomade, spostandosi tra Austria, Germania,Yugoslavia più una puntata in Italia, tra Pisa e Grosseto, La fuga del '56 dall'Ungheria lo aveva bollato come rifugiato politico. Soltanto nella seconda metà degli anni '90 con la caduta del comunismo fece ritorno in patria . Vinse il derby Magiaro con Rodrigo all'età di 67 anni ed è stato il fantino più vecchio a salire in sella in corsa, a 73 anni suonati. Ha vinto più di 3000 corse in diverse nazioni, più di 1700 negli States e più di mille in Ungheria.


Quando i cavalli correvano al Kincsem Park, anche un osservatore poco esperto avrebbe potuto individuare rapidamente un fantino che si distingueva dal branco. Mentre gli altri si agitavano, mostrando il basso livello di abilità che ci si può aspettare in una corsa da $600, uno montava in stile americano, seduto in sella, frustando e spingendo con forza. Gli anni nel New Jersey lo avevano cambiato, però, non soltanto nel modo di montare; sono rimasti una traccia indelebile nella vita di Pal , tanto che rivelerà in un'intervista “Mi mancano gli Stati Uniti, quel modo di vivere era il mio modo di vivere. E un giorno devo tornare."


Ce lo immaginiamo così quel giorno che il suo dio lo ascoltò per l'ultima volta esaudendo quel vecchio desiderio. Un giorno come gli altri lo portò via un infarto, durante il peso prima di un pomeriggio di corse nel suo Kincsem Park, mentre forse ripensava all'America, ricordandola e rimpiangendola, proprio come quel bambino rimpiange di non avergli scattato una foto con la sua polaroid, in ricordo di chi, come lui, non porgeva mai volentieri l'altra guancia.


-Exacta-

In memory of Pal Kallai

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